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Massimo Di Giovanni è il nuovo preparatore atletico

In attesa di conoscere il proprio futuro riguardo alla partecipazione al campionato di serie B / serie C Gold, e dopo la conferma di Roberto Russo quale allenatore della prima squadra, la società rossoblù ha effettuato il primo movimento in entrata che riguarda la posizione di preparatore atletico, riportando a Cecina Massimo Di Giovanni, che gestirà dal punto di vista della preparazione sia la squadra maggiore che tre formazioni del settore giovanile cecinese. Da una semplice intervista è scaturita una lunga chiaccherata a tutto campo, molto interessante, che ci svela molto del nuovo preparatore dopo l’accordo che lo ha riportato nella società in cui mosse i suoi primi passi da cestista. D – Una carriera di grandi soddisfazioni, la tua, con esperienze di alto livello; raccontaci in breve le tue esperienze passate, magari con qualche aneddoto divertente R – C1, B, A2, A1 passando per l’Eurolega ed Eurocup. Aneddoti ce ne sono a migliaia, mi ricordo nella sfida playoff tra Barcellona Pozzo di Gotto e Capo D’Orlando in una delle consuete chiacchierate prepartita con Pozzecco mi azzardai a dirgli che lui in squadra aveva il miglior giocatore italiano di tutti i tempi insieme a Dino Meneghin e Mario Boni (opinione personale) e cioè Gianluca Basile. Si adombrò, mi congedò subito molto impermalosito. Lo raccontai a Basile che tra le risate mi disse “sei pazzo a dirgli una cosa del genere, è convinto di essere lui il migliore di sempre…” Un’ altra volta stavo guardando una partita dell’Italia di basket ai campionati europei in compagnia tra gli altri di Antonello Riva, mio Direttore sportivo. L’Italia non stava giocando bene e Antonello si lamentava, ad un certo punto, sapendo tutto della sua carriera, mi uscì spontaneo uno scherzoso “ma smettila di lamentarti, neanche tu fossi quello che ha segnato più punti nella storia del campionato italiano e della nazionale…”. Per chi non lo sapesse, lui E’ quello che ha segnato più punti di tutti. Sono da sempre tifoso dei Boston Celtics ed a Brescia ho allenato Marcus Landry, per un periodo loro giocatore, mi parlò molto male del GM Danny Ainge, ci rimasi malissimo, ma non ho motivi per non credergli. A Reggio Calabria allenai Ellis Myles che 4 mesi prima avevo visto in TV giocare la finale NCAA con Louisville, fu un effetto piacevolmente strano. Conobbi German Scarone ed Andrea Niccolai nel parcheggio del locale di mio padre all’isola d’Elba, dò spesso una mano, quel giorno ricoprivo il ruolo di parcheggiatore, non gli raccontai che facevo il preparatore fisico di basket né che fossi il figlio del proprietario. Mi chiesero se gli potessi presentare un personaggio che quel giorno era nel locale (Nando, della trasmissione libero, di Teo Mammuccari che ballava “anvedi come balla Nando”), così feci. La stagione successiva lo incontrai all’aeroporto di Fiumicino dove la sua squadra, Rimini, prendeva un aereo per una trasferta, io ero il preparatore di Reggio Calabria dove lui aveva giocato l’anno prima. Mentre salutava i dirigenti e parte dello staff della sua ex squadra, mi presentai ricordando come ci eravamo conosciuti. Fu uno spettacolo, mentre riprese a parlare con i dirigenti, la faccia che faceva, si vedeva che non riusciva a collegare come un parcheggiatore di un locale all’isola d’Elba, potesse 4 mesi dopo fare il preparatore fisico in serie A… Cito gli ultimi 2 episodi anche se, ripeto, ce ne sarebbero a tonnellate. Quando allenai all’Asseco Prokom in Polonia, avevo un contratto temporaneo in sostituzione del preparatore lituano, il titolare diciamo. Quando il contratto scadde, Pape Sow, già all’Armani Jeans Milano e ai Toronto Raptors in NBA provò a convincere gli altri giocatori a fare in modo di tenermi. Tutti si erano trovati bene ma chiaramente e aggiungerei, giustamente, l’allenatore lituano si fidava più del suo connazionale. Infine a Reggio Emilia, durante un infinito incontro con uno sponsor in un autosalone, a forza di insistere convinsi Amedeo Della Valle a suonare il clacson di una della macchine all’interno dell’edificio, a 5 metri dalla presidentessa che stava ringraziando tutti al microfono. Scaturirono imbarazzo e risate D – Un ritorno a casa in una realtà diversa da quelle con le quali hai lavorato negli ultimi anni, ma anche in una società certamente cresciuta nel corso degli anni. E’ stata importante anche la voglia di “tornare a casa” ??? R – Col basket avevo chiuso già da un anno. Negli ultimi 12 mesi ho vissuto a Brescia ma prendendo strade lavorative che non hanno nulla a che vedere con lo sport. In serie A, a differenza dell’A2, gli allenamenti, il lavoro duro, quello che paga, contano infinitamente meno delle pubbliche relazioni, del chinare la testa di fronte ad evidenti errori di persone superiori nella gerarchia societaria ma che non hanno conoscenza del lavoro che svolgo, del potere incredibile che possiedono certi procuratori, insomma ero schifato. Quest’anno avevo voglia di tornare a casa ma al basket proprio non pensavo più. I primi di giugno ho ricevuto una telefonata da Marco Ramondino, coach di Tortona e dopo 2 giorni da Paolo Elmi. Il primo caso mi intrigava perché Ramondino è una persona che stimo, ma poi hanno preso altre strade. Ho quindi ascoltato attentamente la proposta del Basket Cecina che si prefigge di costruire dei giocatori, di migliorarli fisicamente. Questo mi piace, teoricamente i presupposti per fare bene ci sono tutti. Lavorare duro in palestra mi è sempre “garbato”, come si dice dalle nostre parti, sia da (scarso) giocatore che da allenatore e preparatore. Questo è l’unico basket che amo, le coreografie le lascio volentieri a chi svolge questo lavoro solo per fare la foto di squadra indossando la maglietta ufficiale della società di appartenenza, gestendo (cioè facendo il minimo possibile) i giocatori e ubbidendo passivamente agli allenatori. D – Oltre al lavoro con la squadra maggiore anche quello con il settore giovanile. Quanto è stata importante questa opportunità nella tua scelta, e cosa si può fare per far crescere i prospetti rossoblù ?? R – Ho chiesto io di aumentarmi le squadre giovanili da allenare. Me ne avevano affidata una, ho chiesto di arrivare a tre. Aiutare a costruire un giocatore è intrigante, molto molto più che un giocatore già affermato. Ho già testato ed allenato qualcuno a giugno, il lavoro svolto dai precedenti preparatori è evidente, ciò mi aiuterà tanto. Per far crescere un prospetto la formula è teoricamente semplice. Lo si testa, lo si guarda giocare e si individua il suo limite o difetto (non sono la stessa cosa) maggiore. A questo punto il 60% di tutto il lavoro fisico annuale è mirato al miglioramento di quel lato e solo quello. Essendo un difetto o limite evidente, il giocatore nel giro di breve tempo avrà degli evidenti miglioramenti in campo. Questo alzerà il livello del suo gioco, la fiducia in se stesso, nella società ed anche nel preparatore. Il tutto se riuscirò ad aiutarlo a tirare fuori le giuste motivazioni per farlo D – Hai già avuto modo di conoscere coach Russo e di scambiare opinioni ?? R – Si, anche quando attendevo una risposta da Tortona mi ha sempre fatto capire esplicitamente che avrebbe avuto piacere a lavorare con me. Siamo teoricamente sulla stessa lunghezza d’onda, sono abbastanza sicuro che non ci saranno problemi. Anche perché il capo è lui, il coach, questo il preparatore deve capirlo sempre. Gli darò dei consigli anche sui carichi fisici (non sugli esercizi tecnici specifici) dei singoli allenamenti, ci confronteremo sulla gestione di problematiche fisiche di qualche giocatore, sulla gestione fisica dei singoli. L’ultima parola è giusto che spetti a lui, il mio intento è che mi ascolti, spetterà a me dimostrare quello che sostengo. Tra amici, colleghi, in famiglia, in qualsiasi ambito, i problemi nascono per il 90% dei casi da scarsa e/o cattiva comunicazione. Questo, non da tanto, ma l’ho capito. Se la nostra comunicazione sarà efficace, senza filtri, otterremo il massimo possibile. Questo me l’ha insegnato Sandro Dell’Agnello D – Un impegno importante, a tempo pieno, in una società dentro la quale ritrovi amici di lunga data, ed altri saranno sugli spalti a fare il tifo. Cosa può dare questo ad un cecinese ?? R – A tempo pieno per la serie B, a Reggio Emilia (come era giusto che fosse) il primo giorno di festa della stagione per me fu il giorno di Pasquetta, quasi 8 mesi senza staccare mai ☺ . Con Cecina è stato odio amore, affermo serenamente che una volta costretto ad andarmene nel 2004, ho seguito poco. Addirittura Paolo mi ha raccontato che 3 anni fa è stata giocata una finale per salire in A2. Non ne sapevo nulla e non nascondo che una volta uscito dalla riunione ho chiesto conferma ad altre persone extra società, perché mi sembrava così strano non averlo saputo autonomamente, invece tutto vero. Sono molto legato al territorio, nel senso che da sempre ho preferito lavorare fuori toscana, ma solo per il piacere di conoscere usi, costumi, persone totalmente diverse e per una fida personale. Questo non toglie che la natura, i paesaggi, l’aria che si respira in Toscana e in particolar modo a Cecina secondo me abbiano pochi eguali. Amo tutto questo e lavorare con i presupposti che ho citato sopra, per la città dove sono nato e vissuto mi moltiplica le motivazioni. Più che amici ho tante persone che conosco delle quali apprezzo l’attaccamento. Una delle quali è Simone Nocentini, mio ex compagno di squadra nelle giovanili rossoblù con la propensione al passaggio. In 10 stagioni riuscì a distribuire due assist totali, alla media di 0,006 assist a partita… D – In questo tuo viaggio nel professionismo, chi sono stati i tuoi “maestri”? R – Sandro Dell’Agnello su tutti. Una persona vera quindi rara. Coerente, affidabile, super professionale, dotato di buon senso, una delle poche persone che mantiene le promesse. Ha influito decisamente nella mia scelta di abbandonare il circuito della serie A, ero stato abituato troppo bene nei 4 anni cha abbiamo lavorato insieme tra Livorno, Brescia e Forlì. Walter De Raffaele mi ha dato a suon di dure lezioni, la prima impronta del professionista. Il salto in serie A fu veloce, due anni prima allenavo le giovanili a Cecina, un anno di serie A nelle giovanili a Livorno poi A1 a Reggio Calabria, non ero pronto del tutto. Non conoscevo i tempi, i modi, cosa si dice e cosa no. Mi fece un corso accelerato a base di…terrore, però efficace ☺. Marco Calvani ha caratteristiche molto vicine a Sandro è un altro uomo vero. Ma anche Alessio Marchini a Pontedera dove stravincemmo la C1 con una squadra partita per salvarsi. Anche tutti, dico tutti gli altri allenatori ed assistenti con i quali ho lavorato mi hanno dato qualcosa, chi più chi meno, ed anche io credo di avere fatto altrettanto nei loro confronti, se li cito tutti però facciamo notte… D – in cosa si differenzia un allenamento con i giovani o dilettanti rispetto ai professionisti R – Teoricamente ogni allenamento sia del dopolavoro o di una squadra di eurolega, lo intendo perfetto, non è giusto preparare meglio una categoria rispetto ad un’altra. Diciamo che con i professionisti nulla, dico nulla deve essere improvvisato perché se il giocatore, soprattutto straniero, ti vede incerto perde subito E PER TUTTA LASTAGIONE la fiducia in te. Ritmi alti e poche pause, in modo da non dare loro il tempo di obiettare qualcosa. Tutto nasce da prima. Appena la società acquistava un americano o comunque uno straniero, mandavo una e-mail al suo preparatore al college o nella squadra dell’anno precedente. Rispondono tutti. Mi facevo già un’idea, a quel punto mandavo una e-mail o un whatsapp al giocatore citando il suo ex preparatore e qualche sua reale caratteristica fisica in modo da fargli capire che era capitato in una squadra dove c’era serietà e voglia di lavorare bene e per lui. Spesso mi facevo anche raccontare dal preparatore un episodio divertente da riportare poi al giocatore e riderne insieme. Inoltro studiavo la sua high school, dove fosse nato e anche da lì spesso uscivano cose di cui parlare, avere argomenti in comune. Mi ricordo Qyntel Woods che aveva frequentato la Carver high school. Era la stessa scuola del telefilm anni 70 “time out”, che vedevo spesso. Tutto questo serviva affinché il primo giorno di allenamenti non fosse la prima volta che venivamo a contatto. Un altro trucco per entrare in empatia con gli americani che usavo sempre, era che uno dei primi giorni parlando con gli americani, gli dicevo che il giorno precedente avevo visto in tv il mio film preferito, “Coming to America”, in italiano “il principe cerca moglie”, con Eddie Murphy. So che è un film che gli afroamericani adorano ed infatti quando lo citavo, si rilassavano ancora di più. Sono tutti metodi che ai corsi non ti dicono, te li devi inventare, ma a volte possono fare la differenza perché permettono di entrare in sintonia da subito con gli Usa. Serve anche questo per farti seguire da un americano. Per lui tu vieni dal terzo mondo ma se parti interessandoti a lui, sia dal punto di vista fisico sia empaticamente, giorno dopo giorno spieghi che ogni singolo esercizio può migliorarlo per questo o quest’altro motivo, alla fine ti seguirà. Ci vuole lavoro, costanza, fantasia ma si ottiene tutto. Con i sudamericani (argentini in primis ma anche uruguaiani) basta fargli trovare “per caso” uno dei primi giorni di preparazione, la musica di Andres Calamaro, un cantautore argentino, il Vasco Rossi del sud America, per portarli dalla tua parte. Lo adorano tutti!!! D – Un messaggio, un insegnamento figlio di 12 anni di professionismo fuori Cecina R – Me ne vengono tre. Il primo è prendersi le responsabilità. Abbiamo la tendenza a scaricare il barile quando commettiamo errori, è un sistema che usa il cervello in automatico. Alibi, scuse, autogiustificazioni. No, la responsabilità è nostra o comunque anche nostra. Se si ammette la nostra parte di responsabilità è molto probabile che quelli che ci sentono facciano altrettanto. Così facendo le problematiche si risolvono sempre. Secondo, quando chiunque svolge un lavoro, sia esso nel basket o in qualunque altro ambito, dovrebbe farlo con ispirazione. Passione implica sofferenza, ispirazione no. Trascinarsi o comunque non dare il sempre il 100% non è ammissibile. E si può dare il 100% senza soffrire se si fa quello che si ama fare. Come terzo, trovare lati positivi alle persone. Don Mazzi dice che se gli si dà il tempo, anche al peggiore degli assassini si trova un lato positivo ed aggiungo la citazione di Abraham Lincoln “non mi piace quell’uomo, devo conoscerlo meglio”. E’ stato un errore che ho spesso commesso, quello di vedere solo i lati negativi. Il problema è che tutti ne abbiamo, io per primo, quindi meglio concentrarsi su quelli positivi. Senza finzioni o recite, si può godere della gente o comunque apprezzarne certi lati ed arricchirsi emotivamente a vicenda.